Michele Rinaldi, un Mito italiano del Motocross mondiale

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Con il nostro amico Matteo Portinaro, facciamo un altro salto indietro nel tempo per fare i nostri auguri di compleanno ad uno dei miti italiani del Motocross mondiale: Michele Rinaldi.

Su Michele Rinaldi si è detto e scritto molto in questi anni. La prima immagine che ci viene in mente nel pensare a lui è quella datata 12 Agosto 1984, quando ad Ettelbruck (Lussemburgo) diventa il primo italiano a conquistare un titolo mondiale. Lui che taglia il traguardo della seconda manche e viene subito circondato dall’affetto dei tifosi, ma che non riesce ad esultare, non se la sente proprio, nonostante una stagione epica. Già, perché Michele sognava di poter festeggiare in maniera diversa, vincendo quel campionato tanto desiderato in uno scontro alla pari con il diretto rivale.

Quel campionato contiene dentro un insegnamento che Rinaldi ha lasciato con forza e che continua a rimanere vivo nonostante il trascorrere degli anni, un appiglio da tenere a mente quando tutto sembra svanito, applicabile alla vita quotidiana. Tutto parte in salita, quando nella prima prova a Vittorio Veneto si infortuna alla spalla ed è costretto ad operarsi, ma proprio da quel momento di sofferenza e delusione raccoglie le forze e dopo solo tre prove di assenza si ripresenta in pista in Germania, vincendo addirittura una manche. Da lì ne segue una rimonta in classifica da delirio, in quello che fu un vero miracolo sportivo. Usiamo questa forte espressione non a caso, consapevoli che quella che il pilota Suzuki riuscì a realizzare fu senza ombra di dubbio un’impresa storica.

Abbiamo rimarcato quell’annata perché è la prova tangibile del carattere e della passione che da sempre hanno mosso Rinaldi. Un pilota che non si è mai risparmiato, che ha corso in più di un’occasione in condizioni precarie, a causa dei postumi di infortuni più o meno seri, ma che comunque non ha mai voluto darla vinta, anche nelle situazioni più complesse. Un ragazzo testardo, sincero, pulito nell’anima, semplice e cocciuto, che quando si mette in testa una cosa prima o poi la ottiene, come quando nel 1987 corona il sogno di partecipare alla Parigi-Dakar. Poco importa se durante l’avventura africana gli esce nuovamente la spalla in un paio di occasioni, costringendolo per tutta la stagione iridata a stringere i denti, lui non è mai tornato sui suoi passi.

Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia: Michele ha vinto ed ha perso, ha esultato ed ha vissuto momenti di delusione, perché si sa che lo sport è fatto anche di questo, ma è sempre ripartito con nuova linfa verso altri obiettivi, spinto da un qualcosa che lo anima da quando era poco più che un bambino. Nessuno è mai riuscito a placare tutto ciò: ci provarono i genitori, che mal digerivano la voglia del figlio di correre, di azzardare e di intraprendere un percorso così irto di difficoltà.

Michele Rinaldi

Michele Rinaldi

Ci provò la sfortuna, materializzatasi più volte sotto varie forme: dal titolo sfiorato nel 1980, all’esordio, a causa di una mancata squalifica nel GP d’Austria di Harry Everts, quando la giuria internazionale non prese provvedimenti dopo aver riscontrato il peso non idoneo della Suzuki guidata dal belga, alle varie rotture meccaniche nel biennio in Gilera, alla pazzia del giovane Geboers che lo colpì in pieno nella seconda manche del gp di Germania 1981 pur di impedirgli una vittoria ormai certa, fino alle contestabili partenze di Vimond nel mondiale 250 del 1986, che in più di un’occasione si fece aiutare in maniera palese con segnalazioni provenienti al di fuori della pista. Michele si è dimostrato sempre più forte di ogni avversità, dando dal primo giorno un’immagine integra e pulita di sé che gli permette ancora oggi di essere tra i personaggi più importanti dell’intero circus mondiale, nonostante abbia abbandonato le competizioni da più di trent’anni.

Da team manager ha continuato ad essere protagonista, lasciando insegnamenti preziosi a tutti coloro che hanno fatto parte della sua squadra, tanto ai piloti quanto ai meccanici. Ha fatto crescere e vincere un talento come Alex Puzar, portandolo anche a casa sua per più di un anno con l’intento di farlo maturare sotto vari aspetti, ha colto il trionfo con un pilota non molto spettacolare ma dedito come pochi altri nella storia, il compianto Donny Schmit, ha rigenerato un campione di proporzioni indescrivibili come Stefan Everts, che veniva dato ormai sul viale del tramonto, rilanciandolo dopo due stagione falcidiate da infortuni di una certa entità.

Michele Rinaldi - Donny Schmit

Michele Rinaldi – Donny Schmit

Gli anni passano, ma lui continua a rimanere in quel mondo che tanto gli ha dato. Il volto adesso è segnato da qualche ruga, i capelli sono ormai diventati bianchi, ma il sorriso e quella luce sempre viva presente nei suoi occhi riflettono perfettamente l’amore incondizionato che prova verso il Motocross.

Tanti sono gli aneddoti che si potrebbero raccontare sul parmense e tra questi ne citiamo uno tanto curioso quanto simpatico, occorso a Malagrotta durante una prova di campionato italiano: date le condizioni molto proibitive del tracciato, a causa delle forti piogge, il fango avrebbe potuto attaccarsi in maniera consistente al radiatore e di conseguenza la moto avrebbe corso il rischio di grippare il motore. Ad un certo punto Michele si avvicina ad uno dei suoi supporters presenti alla gara chiedendogli di fare la pipì nel radiatore. Poco dopo giunse il fido meccanico Iller Aldini a versare un po’ d’acqua e a sistemare il tutto, nella giornata che vedrà poi Rinaldi conquistare il titolo nazionale.

Compie oggi 59 anni un personaggio che ha cambiato non solo la storia del Motocross azzurro ma anche di quella mondiale. Un campione tanto in pista quanto fuori, che ha saputo farsi apprezzare per la sincerità, la spontaneità e la passione profusa. In un mondo dove la tecnologia avanza a tutta velocità, è bello poter ancora ammirare la presenza di un personaggio come Michele, che ci riconduce ad un Motocross romantico ed indimenticabile.

Michele Rinaldi

Michele Rinaldi – Joel Smets

Articolo by Matteo Portinaro

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